Buonessere
Erbe e Radici d’Autunno
La stagione autunnale è ormai entrata nel vivo. I primi freddi e le prime accensioni di stufe e caloriferi dopo il letargo primaverile ed estivo anticipano e accolgono come ogni anno il periodo delle feste di fine ottobre/inizio novembre. Anche in tavola cambia qualcosa. Gli “odori” e le erbe della bella stagione lasciano posto a tuberi e radici ricchi di principi attivi per il nostro organismo, perfetti per svariati impieghi in cucina. Vediamone alcuni.
Topinambur
Una pianta dagli alti fusti e dai fiori gialli che trova largo impiego in cucina. Il topinambur si trova soprattutto sugli argini dei fiumi e nei prati a partire da ottobre e fino a dicembre. Dopo averlo accuratamente lavato e sbucciato può accompagnare molte preparazioni. Il sapore è peculiare, ricorda vagamente quello del carciofo e si presta a zuppe o in abbinamento a piatti gratinati, ai fritti oppure in insalata.
Erba cipollina
Le sue sottili e saporite foglie sono ricche di flavonoidi, antiossidanti che proteggono il cuore e aiutano a prevenire i tumori. Utile per controllare la pressione alta, questa erbetta aiuta anche ad abbassare il colesterolo nel sangue. Sapore deciso, contorno che non passa inosservato (né insaporito).
Carota selvatica
Non gode di grande apprezzamento, dal momento che a causa della sua diffusione viene considerata una pianta infestante. La si trova facilmente nei prati, nelle campagne e lungo le strade di periferia. In autunno si possono raccogliere le radici, le quali presentano spiccate virtù antinfiammatorie, disintossicanti e protettive per la pelle. In cucina possono essere impiegate nella preparazione di salse e risotti. Le avete mai provate?
Finocchio
Portatore sano di vitamina C, di fibra per migliorare il transito intestinale e di minerali come calcio o ferro. Il finocchio (frutto o semi) è utilizzato per migliorare i disturbi legati all’apparato digerente. Da consumare cotto oppure crudo. Declinabile in molteplici modi, l’unico aspetto che ha bisogno di presentazioni, forse, è l’espressione “lasciarsi infinocchiare”: deriva dall’antica abitudine dei cantinieri di offrire spicchi di finocchio a chi si presentava per acquistare il vino custodito nelle botti. Il finocchio contiene sostanze aromatiche che modificano leggermente la percezione organolettica, fatto che rendeva saporito l’assaggio di vino di qualità scadente o addirittura prossimo all’acetificazione.